
Via Mazzini
20013 Magenta (MI)
La data di fondazione del Monastero di S. Maria Assunta dei Padri Celestini in Magenta non è riportata in alcun documento archivistico. Tradizionalmente la fondazione viene fatta risalire alla seconda metà del XIV secolo e due sono le notizie che lo fanno supporre: nel 1398 il Monastero è riportato tra “le domus della Pieve di Corbetta come Ecclesia Sanctae Mariae Celesti norum de Mazenta” e, sempre nel 1398, la Chiesetta di S. Maria dei Celestini viene stimata in Lire 20 e Soldi 17. La costruzione del campanile, ancora oggi in buono stato di conservazione e manutenzione, è fatta risalire, alla fine del secolo XV. La Chiesa di S. Maria Assunta, che risulta la seconda della città per ampiezza, dopo la Basilica di San Martino, è ad un’unica navata, costituita da cinque campate coperte da volte a crociera; la copertura a volta originaria non era però in cotto, bensì composta di canne, sostenute dall’intelaiatura portante del tetto, costituita a sua volta da capriate lignee. Su entrambi i lati longitudinali si trovano sette cappelle con altari dedicati e due cappelle senza altari dove sono stati collocati a destra l’organo ed a sinistra un pulpito di legno lavorato; queste cappelle hanno un’altezza inferiore rispetto alla nave della Chiesa e sono coperte con una volta a botte. Una balaustra immette nel presbiterio. Le parti architettoniche della Chiesa furono man mano restaurate in diverse occasioni. Attualmente l’unica volta a crociera originaria è quella della copertura della sacrestia nuova, sul lato sinistro del coro. La volta dell’unica navata, crollata in parte nel 1937, è stata rifatta negli anni 1939-40 la nuova copertura, a botte, con unghie in prossimità delle finestrelle che si affacciano sopra il tetto delle cappelle, è stata eseguita in laterizio armato. Pure di questo periodo è la nuova copertura, realizzata in legno e tegole. La sistemazione esterna della facciata è del 1938. Del 1939 risulta essere anche l’acquisto del coro “in legno di noce massiccio” e l’ultimazione della pavimentazione interna in “marmette a mosaico” Tra le pregevoli opere conservate in questo sacro edificio si segnala: nella prima cappella a destra: “Il trionfo dell’Eucaristia”- una tela del XVII secolo; nella seconda cappella a destra: “L’adorazione dei Magi” di ignoto pittore; nella terza cappella a sinistra le opere più prestigiose dal punto di vista artistico, due tavole del 1501 “Cristo alla colonna” ed un “Ecce Homo” di Ambrogio da Fossano detto il Borgognone, Le tavole sono inserite nel polittico cinquecentesco attribuito a Bernardo Zenale. I pannelli laterali del Bergognone sono stati collocati nel-ancona in un momento successivo, probabilmente nella seconda metà dell’ottocento, in sostituzione di parti del polittico dello Zenale perché distrutte o fortemente degradate. La lunetta sovrastante raffigura il Padre Eterno ed è derivata da una tavola tonda cui in un precedente intervento è stata asportata la parte inferiore che probabilmente rappresentava la colomba dello Spirito Santo. Gli sfondi delle scene della predella, in origine in foglia d’oro che, con la punzonatura del fondo creava un suggestivo gioco di luci e ombre, è stato dipinto con azzurrite in un intervento ottocentesco. Il restauro del polittico, che ha portato alla scoperta di queste pregevolissime opere, è stato reso possibile grazie al Rotary Club Magenta ed è stato eseguito dal prof. Carmelo Lo Sardo.
Affreschi dell’Altare e della Cappella dei Celestini
I due grandi affreschi che decorano le pareti laterali dell’abside, raffigurano rispettivamente: a destra dell’altare, la premonizione in sogno della Madonna a Celestino per la costruzione della Basilica di S. Maria di Collemaggio nella città dell’Aquila, a sinistra l’apparizione della Madonna che dà al santo disposizioni sugli elementi architettonici della Basilica a Lei dedicata. Questi due affreschi, unitamente a quelli che decorano interamente la cappella dei Celestini, anche se rimaneggiati lungo il corso dei secoli, sono originali del Seicento.
La cappella dei Padri Celestini, la terza a sinistra per chi entra, è interamente decorata ad affresco con un finto altare dipinto sulla parete di fondo che contiene una pala d’altare dipinta ad olio su tela, raffigurante la Madonna con Bambino e i Santi: Celestino a destra della Madonna, San Carlo e San Placido a sinistra. In secondo piano San Benedetto e Santa Scolastica. In basso, una donna che assiste un appestato e si rivolge a S. Carlo. Sulle pareti laterali due ovali monocromi chiaroscurali raffigurano storie di Celestino e San Benedetto con Santa Scolastica. In alto nella volta è raffigurato lo stemma dei Celestini che presenta una “S” dello Spirito Santo intrecciato alla Croce. Questo monogramma è l’unico presente in tutte le cappelle. Fortunatamente, data la sua riconosciuta importanza, nonostante i restauri delle volte, esso è stato mantenuto.
Le tavole di Ambrogio da Fossano detto il Bergognone (Milano 1453-1523), il Cristo alla colonna (datato, 1501) e il Cristo deriso, sono inserite in un complesso ligneo cinquecentesco riferibile a Bernardo Zenale, nella cappella dedicata a San Giuseppe. Le opere, dopo il restauro eseguito nel 1996-97 affidato a chi scrive e diretto da Sandrina Bandera della Soprintendenza ai Beni artistici di Milano, sono state esposte alle mostre: “Arte ambrosiana dal IV al XIX secolo. Splendori al Museo Diocesano”* e “Il Cinquecento lombardo. Da Leonardo a Caravaggio” a Palazzo Reale **. Non si ha alcuna notizia certa sulla provenienza delle due tavole che, verosimilmente nei primi anni dell’Ottocento, potrebbero essere pervenute nell’ubicazione attuale, forse donate da Giacomo Melzi. Nella chiesa di Santa Maria Assunta esiste tuttora una lapide commemorativa per meriti pittorici dedicata al Melzi risalente ai primissimi anni dell’Ottocento e probabilmente collegabile alla donazione delle due tavole (ringrazio il prof. A. Cislaghi per le preziose informazioni) *** Nell’ Ecce Homo, la scena della mietitura rappresentata sullo sfondo rimanda al sacrificio eucaristico, mentre nel Cristo flagellato è rappresentata una nobile corte rinascimentale, con scene dipinte alle pareti che alludono a una seduta di una qualche corte (nell’ordine di comparizione di Gesù davanti a diverse corti, la notte del suo arresto, avremo: il Sinedrio, la corte di Erode, il pretorio di Pilato). La datazione dell’opera ma-gentina Cristo alla colonna trova conferma a serrato confronto con le due tavole del Bergognone raffiguranti rispettivamente l’Orazione nell’orto e la Salita al Calvario, segnata 1501, della National Gallery di Londra. I quattro pannelli manifestano strettissimi legami tematici, compositivi e stilistici, considerate anche le analoghe misure e la coerenza dell’impianto prospettico, tali da giustificare l’ipotesi di una verosimile riconduzione ad un unico polittico. Una curiosità: durante le operazioni di pulitura del Cristo alla colonna, si è resa leggibile un’impronta digitale dell’autore, che si nota con chiarezza in corrispondenza della porta di accesso interna al portico. Nella parte centrale del polittico si colloca un dipinto a tempera magra su tela raffigurante La Natività (con la particolarità di un san Giuseppe giovane). La lunetta raffigura il Padre Eterno che regge nella mano sinistra le sorti del Creato (il globo). Essa è derivata da una tavola tonda a cui in un precedente intervento è stata asportata la parte inferiore che probabilmente raffigurava la colomba dello Spirito Santo. Ai lati, i profeti Davide (riconoscibile dalla corona) e Isaia scolpiti in altorilievo. Sulla trabeazione notiamo l’annunciazione con le due statuette, l’arcangelo Gabriele e la Madonna. Nel timpano, in alto, un gruppo di angeli con il cartiglio del ” Gloria a Dio nell’alto dei cieli”. La predella contiene tre tavole raffiguranti L’adorazione dei Magi, La presentazione di Gesù al Tempio e La fuga in Egitto. Gli sfondi delle scene della predella – in origine in foglia oro che con la punzonatura del fondo creava un suggestivo gioco di luci e ombre – è stato dipinto in azzurrite in un intervento ottocentesco. Il restauro ha avuto il merito di aver restituito l’opera alla originaria trasparenza e ha permesso, attraverso la rilettura degli originali elementi visivi, l’attribuzione delle tavole al Bergognone, aprendo così un nuovo ciclo di studi non solo sull’artista ma anche sul complesso ligneo dove sono inserite. Uno studio serio sul polittico, quindi, non può prescindere dai dati oggettivi emersi dell’intervento di restauro, realizzato grazie al contributo del Rotary Club di Magenta.
1 N.R. [N. Righi], in P. Biscottini
(a cura di), SPLENDORI AL MUSEO DIOCESANO, Catalogo della Mostra, Milano 2000, pp. 72-74.
2 A.G [A.Gioli], in F, Caroli (a cura di), IL CINQUECENTO LOMBARDO DA LEONARDO A CARAVAGGIO,
Catalogo della mostra, Milano 2000, pp. 88-89.
5″lacobus comes familae Melzi [fuit] vir acri ingenio, prudens, disertus, popularis, studiosissimus picturae ut Franciscum illum, gentilem suum Leopardi a Vincio amicissimum, visus sit referre. Pinacotecam veteribus tabulis instruxit magno sumptu ad familiam et patriae dignitatem”.
Si ringrazia A. Cislaghi per la gentile comunicazione.