Via Crivelli
20013 Magenta (MI)
La sua origine risale alla seconda meta XV secolo, periodo in cui in Italia si diffonde il culto dei SS. Rocco e Sebastiano, protettori contro la peste. Il primo documento che ne riporta l’esistenza, comunque, è datato 27 agosto 1524 ed è il testamento del nobile Antonio Capelli di Chieri, il quale lascia a questa Chiesa parte delle sue sostanze. E’ del XVI secolo la prima descrizione sommaria dell’edificio, che viene chiamato Oratorio e del quale si dice che è stato eretto dalla devozione degli uomini; in esso gli abitanti del luogo fanno celebrare ogni giorno la S. Messa. La Chiesa, dunque, essendo di fondazione popolare,non possiede alcun reddito ed è sostenuta solo dalla spontanea iniziativa dei fedeli. In essa, a partire dal 1571, viene eretta la Scuola dei Disciplinati, intitolata al SS. Sacramento e fondata dallo stesso S. Carlo Borromeo , la quale, avvalendosi di elemosine e di contributi straordinari, deve ottemperare alle necessità della Chiesa. E’ importante notare come questo edificio sacro abbia avuto, durante tutto il suo corso storico, una evoluzione molto diversa da quella delle altre Chiese del Magentino. Innazitutto essa non possedeva redditi, legati e cappellanie varie e questo, se la rendeva sicuramente più vicina alla popolazione contadina che al ceto nobiliare, gli impediva, però, di avere quelle sovvenzioni sicure e regolari che avrebbero permesso una manutenzione costante ed accurata. Da piccolo Oratorio campestre rivolto ad Oriente, quale era agli inizi del XVI secolo, l’edificio, alla fine del 1500, soprattutto dopo la realizzazione delle disposizioni di S. Carlo, si ingrandisce e su-bisce delle trasformazioni, in quanto alla costruzione originaria, identificabile con l’attuale presbiterio, si aggiunge un corpo, suddiviso in tre navate; in seguito a ta-i cambiamenti l’edificio risulta orientato a Mezzogiorno. Durante tutto il XVII secolo si continua l’opera di abbellimento della Chiesa stessa, che comporta necessariamente continue modifiche interne. Nel 1706, in seguito alla Visita di Monsignor Mario Corradi, si ha l’elencazione degli altari che si trovano in S. Rocco: l’altare Maggiore e gli altari laterali della Beata Vergine Maria dei Miracoli, di S. Giovanni Battista e di S. Sebastiano. Nella stessa Visita si descrive anche il terzo corpo aggiunto all’edificio; questo consiste in un nuovo coro a semicerchio, situato dietro l’altare Maggiore e destinato, come il precedente, alla recitazione festiva degli Uffici; si può ipotizzare che tale ulteriore ampliamento si sia reso necessario non solo per adeguare l’edificio ai canoni architettonici allora vigenti, ma anche per aumentarne la capienza, in quanto la Confraternita durante il XVIII secolo vede un costante incremento dei propri adepti. Nel 1720 viene benedetto un quinto altare, dedicate alla SS. Trinità, che rende simmetrica la sistemazione interna dell’Oratorio, il quale presenta un altare Maggiore rivolto a Sud, due altari laterali posti ad Oriente ed altri due ad Occidente. Nel 1758 viene smantellato il vecchio altare Maggiore ed al suo posto viene collocato un nuovo altare di stile barocco, che, per le sue decorazioni in marmi policromi e per i due porta lini che lo affiancano lateralmente, è considerato unico in Lombardia. Nel 1772 viene realizzata la cappelletta dei morti, dove vengono traslate le salme che riposavano nel cimitero adiacente alla Chiesa. Non si ha notizia di altre evoluzioni fino alla dominazione austriaca, durante la quale l’edificio viene adibito a ricovero per i militari di passaggio. In seguito alla soppressione della Confraternita dei Disciplinati, avvenuta alla fine del XIX secolo, l’amministrazione della Chiesa passa alla Parrocchia di S.Martino. Da questo momento S. Rocco diviene Chiesa sussidiaria della Parrocchiale e viene usata solo sporadicamente; questa perdita d’importanza coincide con il suo lento declino. Negli anni 1950-1955 Monsignor Crespi promuove un restauro sommario della Chiesa, ma è solo dopo il Concilio Ecumenico Vaticano II, il quale auspica un’azione pastorale maggiormente calata nelle realtà locali, che si decide una sua radicale ristrutturazione, affinché possa essere utilizzata per le esigenze del quartiere nel quale si trova; nel 1978, perciò, don Giuseppe Locatelli commissiona all’architetto Ernesto Puricelli il restauro completo dell’edificio sacro. Volendo, a questo punto, descrivere la Chiesa così come si presenta oggi, si deve premettere che i continui cambiamenti in essa operati ne rendono difficile una precisa lettura architettonica, in quanto hanno dato luogo a parti con caratteristiche molto dissimili tra di loro. La facciata dell’edificio sacro, orizzontalmente disposta su due ordini e conclusa da un timpano, è ripartita verticalmente in tre parti da lesene di ordine toscano, conformemente alla regola che vuole i fronti delle chiese in numero dispari con l’ingresso principale al centro; davanti ad essa vi è un protiro, aggiunto successivamente, e nella parte superiore si trova una monofora che illumina la navata. Due piccoli obelischi, infine, ornano la parte superiore dei due estremi laterali della facciata, che risale alla fine del XVI secolo; i raccordi del timpano, la parte sottostante ad esso ed i due obelischi possono dirsi, invece, barocchi. L’interno, a navata unica, presenta ancor maggiori difformità architettoniche; infatti, la cappella dell’altare Maggiore ed il coro non hanno nulla in comune con il corpo della Chiesa, anche per quanto riguarda la proporzione tra le loro misure. La navata è coperta da una volta a botte, suddivisa in tre campate, e presenta due cappelle per lato, nelle quali vi sono alcune tele settecentesche di ottima fattura, raffiguranti la SS. Trinità, la Vergine con S. Chiara, S. Caterina e S. Giovanni Battista, l’Addolorata e S. Sebastiano. Al di là dell’arco trionfale c’e il presbiterio,di forma molto allungata, con un altare di recente fabbricazione ed un altro altare tardo-barocco, che delimita il coro posto nell’abside. Sulle pareti del presbiterio vi sono due tele, aventi come soggetto l’una, di ispirazione procaccinesca, la Sacra Famiglia con i SS. Rocco, Carlo e Francesco, e l’altra l’Investitura di un Sacerdote. Il campanile, ubicato sul lato Est della Chiesa ed iniziato nel XVI secolo, presenta dei rifacimenti nella parte superiore, presumibilmente risalenti al XVIII secolo. Una nota di particolare attenzione merita l’organo, posto nella cantoria sopra la porta principale, pregevole opera della bottega del magentino Gaetano Prestinari, che porta la data del 18 novembre 1878, scritta a matita su una tavoletta della secreta. E’ racchiuso in una semplice, ma elegante, cassa con lesene e dorature, che ne fanno risaltare la facciata, composta di venticinque canne disposte a cuspide, con ali laterali. La disposizione fonica prescelta è quella caratteristica della seconda meta dell’800, con qualche concessione al gusto imitativo degli strumenti d’orchestra. Nel 1978/79, con la sistemazione dell’edificio, si è provveduto anche al restauro completo di questo splendido strumento e di alcune tele, precedentemente giacenti nei depositi della Fabbriceria, probabilmente provenienti dall’antica Prepositurale e dalle altre Chiese minori andate distrutte. Tra esse se ne segnalano due, risalenti al ‘500, che raffigurano la Madonna tra gli Angeli e la Crocefissione, altre due del ‘600, che rappresentano le Nozze di Cana e la Madonna con S. Domenico ed alcune sette-centesche aventi come soggetto l’Adorazione dei Magi, Santa Maddalena de’ Pazzi e l’Angelo Custode. S* segnala, infine, la presenza in S. Rocco della serie completa delle ventiquattro insegne processionali del Venerdì Santo, in legno dipinto, risalenti al 1700.
Non tutti i magentini sono a conoscenza dell’importanza storica che rivestono le ventiquattro insegne processionali del XVIII sec, custodite nella Chiesa di S. Rocco, popolarmente chiamate i “Misteri”. E solo pochi sanno che la loro completa conservazione rappresenta quasi un fatto unico in Italia. Infatti il destino di questi oggetti, ritenuti in alcuni casi troppo legati alla superstizione popolare più che alla fede, ha spesso seguito la sorte delle Confraternite, ormai da tempo soppresse, a cui erano affidate in custodia. Oggetti popolari di culto, ancora oggi portati in processione per le vie della città il giorno del Venerdì Santo, i “Misteri” affondano le loro radici nell’antico dramma liturgico di matrice nordica. Il gallo, il dado, le vesti, la canna con la spugna imbevuta di fiele erano racconto per gli analfabeti, simboli di richiamo alle sacre rappresentazioni medioevali, quando il personaggio di Cristo sfilava tra la folla urlante e piangente di dolore. La funzione simbolico-rappresentativa di queste insegne processionali, con simbolo e cartiglio, è stata assunta, a partire dalla seconda metà dell’Ottocento, dalle immagini pittoriche o scultoree, che, stabilmente collocate all’interno delle chiese, ripercorrono i momenti (stazioni) più significativi della Via della Croce (Via Crucis). L’attuale Via Crucis mira a ricreare l’ambientazione storica degli ultimi giorni della vita di Cristo e della sua Risurrezione, fissandone i 14 episodi, ritenuti più importanti, con immagini particolareggiate, così da guidare il fedele, quasi prendendolo per mano ,verso la comprensione del sacrificio divino. I “Misteri” invece, mediante l’uso di una simbologia elementare, riesconc ad evocare nella mente dei fedeli, in mode più diretto ed immediato, il profondo significato teologico insito in ogni gesto e avvenimento della Passione.
Tratto integralmente da “MAGENTA Ritratto di una Città”